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380 | scritti di renato serra |
ogni pretesa di lavoro originale nell’arte e nel pensiero, e si condannò a far l’uomo pratico, il portavoce degli altri, il discepolo di Croce e di Gentile in filosofia e il banditore di Papini e di Soffici e di Rosso e di tutti gli altri amici in arte, l’organizzatore e il revisore o al più il maestro di moralità spicciola, l’informatore critico di politica e di questioni vive.
Invece niente era meno pratico e meno politico che la sua natura facile e irritabile di vero letterato; niente meno filosofico che la sua testa di fiorentino vivace e un po’ arido, puritano per combinazione. Prezzolini è prima di tutto uno scrittore; piacevole, arguto, chiaro, acuto. E sarebbe un critico felice, per gusto rapido e per finezza psicologica — solo se avesse avuto un’educazione più letteraria, con un po’ più di latino e di pace; ma anche così, quando non si mette di proposito a far della critica come se si trattasse di una rivoluzione morale, riesce a fare, quasi per episodio, delle cose buone. Il profilo che tracciò di Croce era eccellente, per esempio; e lo studio che ha cominciato adesso intorno ai suoi amici dell’Acerba, è ammirabile di misura e di precisione.
A ogni modo, la sua opera vera e l’interesse della sua figura non è qui.
Un altro giovane s’annunzia come critico serio e robusto, proprio in questo punto: De Robertis: in una sua recensione, nella Voce, si leggono delle pagine sul De Sanctis, che rappresentano un progresso reale di intelligenza e di giudizio critico su tutte le opinioni correnti. C’è qualche cosa di buono in chi le ha scritte, con una maturità di riflessione che allontana ogni enfasi: e a cui manca solo per ora la compiutezza dei particolari; De R. ha il difetto dei giovani, che intendono