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378 | scritti di renato serra |
fetto dei principii, e che potesse maturarsi e rischiararsi nel lavoro. Non è stato nulla; piuttosto che semplificare la sua mistura, si direbbe che l’abbia aggravata; vi ha aggiunto il tecnicismo speciale dei critici di pittura, adoperato così all’incirca, tanto per avere un colore di più sulla carta.
C’è dei momenti in cui ci si domanda se non basterebbe dare un’occhiata a quella pagina con la curiosità benevola che si ha per il quadretto di un dilettante divisionista: uno lo solleva e si diverte a guardare così d’infilata il rilievo dei filetti di pasta.
Invece si legge. Perchè si sente, bene o male, che quell’odioso scrittore parla di cose serie; che si pone, davanti a un’opera d’arte, il problema della sua qualità con una schiettezza profonda. Qualche cosa di vero c’è sempre nel suo saggio e sopra tutto qualche cosa che riguarda direttamente l’arte. Certo non si può ricordar nessuna cosa di lui riuscita bene e compiuta: nè sui minori, che gli aggrava e gonfia troppo, nè sui grandi, che lo fanno naufragare nel vuoto e nella retorica solare.
La miglior cosa sono le stroncature. In quelle mostra il suo gusto con una sicurezza violenta e quasi primitiva: sebbene certe bruschezze di temperamento non sono ancora una critica. Come è provato dal fatto che qualche volta egli abusa della sua sicurezza, e ha la civetteria dell’originalità: demolire quel che gli altri han lodato e scoprire le bellezze non viste: naturalmente, vien punito là dove pecca: pigliando dei granchi.
A ogni modo, come si diceva, è il solo fra noi che abbia una natura vera di critico e la passione di esercitarla.