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372 scritti di renato serra


Tutta la fatica di Borgese resta così un poco al di tuoni, à côté; tanto della letteratura, che del pensiero. Ha capito un po’ tutto, ha turbato, sfiorato, intravisto tante cose; non se ne è appropriata nessuna.

Il meglio di lui restano i tentativi generici,1 intorno a questioni di cultura, piuttosto che di critica; pagine sul nazionalismo, la polemica con Croce; e il più bel saggio critico è quello su Jean-Christophe, che è, appunto, un episodio o una crisi di moralità letteraria, forse più che di arte.

In ogni modo, egli è l’ideale, a cui poco o tanto si conformano tutti, e adesso ha trovato la sua perfezione commerciale e definitiva nelle colonne del Corriere. Si è imborghesito un poco, si è fatto più mediocre, più anodino; cura un po’ più la frase, e un po’ meno l’antitesi, ha messo da parte certe audacie, e certe mordacità; compie il miracolo settimanale di costruire un buon articolo, con niente.

Ma è sempre il maestro. C’è nel pubblico l’impressione confusa che tutti gli altri critici giovani — fuor che Cecchi — siano soltanto un Borgese pallido e povero, che non è arrivato a realizzarsi. È la maniera che s’impone. Quelli che ne restano fuori, non rappresentano una superiorità o una differenza intima, ma piuttosto un difetto, un qualche cosa di arretrato e indebolito, oppure un conato leggero, di desideri e qualità superficiali, che non riescono a prender corpo.

Fu il tentativo, poniamo, delle Cronache Letterarie, verso una critica più letteraria e più

  1. Anche i giudizi sopra gli scrittori come persone, temperamenti, hanno una precisione pratica che non è mai nei giudizi di stile.