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368 | scritti di renato serra |
(Anche lui se ne risente; e fa dei discorsi di una bella severità accademica, in parecchie circostanze).
In realtà, è sempre quel che era. Come si vede nei capitoli delle memorie, che è venuto pubblicando ultimamente; son bozzetti pieni di sveltezza e di garbo, ma animati da uno spirito puramente aneddotico.
Lasciamo star l’episodio che pure è significativo. Ma è quel respiro di sollievo e di allegrezza che allargò il petto a tutti i lettori d’Italia, a ritrovare l’altr’anno il libro di Don Chisciotte di Scarfoglio, in cui alla fine non c’era nulla più che una continuazione giovanile e baldanzosa della critica carducciana, delle Confessioni e Battaglie; ma si sentiva un gusto vivace e letterario, che pareva una meraviglia nuova, insieme col suono di quella prosa buona di razza? Che ristoro da queste cose opache e ingrate, che ci opprimono!
È inutile far delle distinzioni. Tutte le gradazioni di maniera e i gruppetti di scuole o d’amicizie letterarie che potremmo descrivere nel mondo dei nostri critici, risalendo dai giornali alle conferenze, e dalle conferenze alle cattedre e magari alle accademie, non ci direbbero niente di nuovo: l’ideale e gli schemi, che balzano all’occhio nei critici di moda, si vanno attenuando a mano a mano e temperando e dissimulando attraverso una infinità di compromessi con ogni sorta di abitudini e di tendenze diverse; accompagnandosi con le ricerche di fonti e con la bibliografia, coi paralleli e coi quadri d’ambiente, magari con le discussioni dei generi letterari e con le conclusioni morali e sociali, della vecchia critica, che vive ancora nei professori anziani non meno che nei giovani scapigliati. Ma l’ideale generico, il lin-