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le lettere 363

una volta si sarebbero chiamati divulgativi. Intanto, gli editori ristampano i classici, e ci trovano il loro tornaconto, anche.

In codesta creazione di valori nuovi e liquidazione dei vecchi, l’interesse della critica si trova spostato profondamente: non c’è più differenza di cose belle o brutte, degne o indegne; ma in un certo senso tutto può essere materia egualmente importante di analisi e di ricostruzione; ogni cosa è parte di un mondo ideale, anzi un mondo essa, che il critico deve rivivere nella sua complessità. Che è infinita: poichè non c’è cosa tanto meschina, in cui tutto il problema dell’universo non si possa riassumere.

In altre parole, quel che importa non è l’argomento, ma il lavoro del critico, a cui l’opera, è appena un pretesto. Possiamo aggiungere che la coscienza di questa posizione superiore e privilegiata si fa sentir bene nel tono della nostra critica: essa porta nel suo seno, non già le quisquilie grammaticali o paleografiche dei vecchi pedanti, ma le possibilità quasi di una seconda creazione di tutte le cose del mondo; ed è naturale che le porti con molta dignità. Così la critica adempie la sua funzione vera e propria; di affrontare le cose come problemi, che possono e devono essere risolti nella loro essenza, assolutamente.

Tutto ciò può parere un po’ astratto, ma per necessità. Sarebbe difficile indicare qualità letterariamente più precise.

Anche quello che si potrebbe credere carattere e colore dominante della nostra critica, la derivazione da Croce, non ha niente che non sia generico e vago, quasi diremmo trasformato.

Lasciamo stare adesso tutti gli episodi perso-