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362 | scritti di renato serra |
manifestazioni dell’operosità critica. Di qui dunque bisogna rifarsi.
Sapete bene di che cosa si tratti. Prima di tutto, c’è una tendenza generica, sentita da ciascuno come una esigenza morale della vita moderna, verso quella che si potrebbe chiamare «revisione dei valori» (non solo letterari, s’intende). Si ha l’impressione che tutto il mondo debba essere scoperto e messo in ordine un’altra volta, proprio da noi; tutto quello che è stato fatto prima non ci serve; o al più esiste come materia per la nostra curiosità e per il nostro ripensamento. Non ci sono più sedi riservate e pacifiche. Sebbene, nell’effetto d’oggi, la critica si rivolga di preferenza alle cose attuali, il suo dominio comprende per diritto anche la letteratura classica fino alle origini e in tutte le questioni più sottili e più ombratili: non ce n’è alcuna invero, dalla religiosità del Manzoni e dal romanticismo del Petrarca via via fino alle caratteristiche dottrinali del dolce stil nuovo e ai tipi di lingua letteraria e cortigiana nel trecento, che non possa essere ripresa nuovamente come un problema di valore. E ce ne accorgiamo anche dal piglio mutato degli stessi specialisti, che non riescono più a collocare i risultati del loro lavoro positivo, bibliografico e biografico e descrittivo, in quelle vecchie e comode categorie — di medio evo rinascimento età moderna ambiente fonti soggettivismo oggettivismo ecc., ereditate per la più parte dalla scuola storica che fu del primo secolo XIX, attraverso la filologia romanza francese e il positivismo — ma si affannano intorno a dubbi e sopra tutto parole e formule di una novità che arriva all’iconoclastia. E son tormentati da una voglia inaudita di discussioni e di libretti, che