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le lettere | 353 |
giusta qua e là qualche pietra, ribadisce un chiodo; e poi si volta a difendere il suo lavoro dalle incursioni e dall’audacia di chi lo vuole abbattere o rinnovare; e allunga una frustatina ai suoi superatori, e impartisce una lezione a dei giovani indisciplinati, e si accinge a far giustizia, da un certo punto di vista di difesa personale, delle novità dell’idealismo attuale.
Questa press’a poco è l’impressione che oggi rende il Croce ai più. Non è certo per altro che sia esatta.
Qualcuno pensa che la caratteristica vera dell’ingegno del Croce sia il progresso continuo e dialettico, qualità dell’intelligenza che non ha niente di comune con gli episodi e con gli oggetti del suo lavoro. Non l’ingegno creatore, nella sua potenza che turba e afferra improvvisa come un motivo di musica nuova pullulato dal fondo — nel senso di Bergson; ma la forza pacata chiara sistematica dell’intelligenza che si dilata e cresce nel suo corso, come l’acqua che mai non si ferma: forza la cui operazione non si può quasi dire che sia più profonda in un punto o in un altro, e che certamente non è misurata dall’importanza apparente dei problemi su cui si esercita, e non è esaurita in nessun volume, perchè la sua natura è appunto il progresso: il quale continua e forse si accresce dalle questioni storicamente grandi e solenni della prima serie alle minuzie e anche agli aneddoti della seconda.
Il Croce — se è tale — non può esser finito, nè diminuito; perchè egli non è soltanto una scoperta, una formula, poniamo la formula dell’estetica come scienza dell’espressione, o la distinzione del momento economico dall’etico; che a voler rammentare i suoi contributi capitali alla storia