Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
coscienza letteraria di renato serra | xli |
l'argomento, cercava i segni lasciati dalle intenzioni immature sulla faccia dell'uomo, entrava nel suo segreto, studiava le inclinazioni dell'animo, molte volte prestando le sue, e inframmettendo al discorso le personali confessioni. Quando aveva così narrato, e s’era narrato, arrivava più quietamente al giudizio o, se non vi arrivava, per non turbare l’equilibrio di quel discorrere vago, lo faceva sottintendere con quelle sue allusive reticenze piene di finissima malizia.
Tutto il gran lavoro, nuovo o di risistemazione del Croce, gli rimase, e s’è visto, presso che estraneo. Nel Croce egli ammirava l’esempio d'una fatica e d'una lena di tempi grandi, ma quanto alla sua critica, sovente e a chiari segni, espresse la sua perplessità, osservando che le qualità del ritrattista morale erano in lui assai più forti. Da una lezione di Acri, anzi da un cenno di lui su Platone, diceva d’avere appreso assai per tempo quello che fu poi il fondamento della estetica crociana. E si vantava positivista, con ciò non volendo forse altro significare se non che la educazione letteraria, il mestiero tramandatogli dai suoi maestri, le quistioni tecniche e strumentali dell’arte, erano cose che non si distruggono; e guardava con sospetto a quella equazione di intuizione-espressione dal Croce stesso poi via via approfondita e fatta più elastica. Sì che, essendogli stato una volta proposto di scrivere un libro di Istituzioni letterarie, per immettere nelle scuole la novità della dottrina crociana, con una scrollatina, com’era suo uso, disse: — Io resto a Quintiliano. — E non daremo noi già a quella scrollatina valore di giudizio, ma dovremo pur riconoscere al giovine ingegno di Renato Serra una grande e fermissima indipendenza, in quella