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le lettere | 351 |
Allora sorge oscuramente il problema di definire e valutare ciò che si divide da noi; la sostanza di questi dieci o quindici anni di cultura e di pensiero e di lavoro letterario che è stato fatto o promosso o improntato sempre da Croce, dall’esempio, dalla vicinanza di Croce. Abbiamo dunque collaborato a qualche cosa di grande, che durerà, abbiamo assistito al nascimento di uno di quei pensieri che gli uomini conserveranno e ripenseranno lungamente dopo di noi, con sempre rinnovata ansia e soddisfazione; o siamo stati soltanto spettatori, e in parte compagni di una di quelle fatiche potenti e pazienti, la cui grandezza finisce con l’operaio?
La domanda ci interessa fortemente. Poichè è certo — qualunque sia il valore intimo del Croce — che egli è stato grande per noi: la sua opera ha dominato dall’alto il pensiero di questa generazione: nessuno ha saputo elevarsi al di sopra di quella o starne fuori del tutto; così i vecchi, invidiando e contrastando e seguitando pure riottosi; come i giovani, accettando e agitando con la impronta baldanza degli imitatori: ma ora si dice, pochezza nostra, o vera grandezza sua?
La risposta non si può trovare nel nostro frettoloso bilancio; che si contenta di registrare il dubbio come un elemento della situazione. In cui c’è da una parte un certo disagio nostro, davanti al cambiamento; con la voglia in qualcuno di liberarsi dal disagio, senza risolverlo, mettendo il Croce addirittura fra i superati; e dall’altra parte, il cambiamento.
A guardar così materialmente si direbbe che il Croce abbia oramai compiuta la parte più importante, polemica e costruttiva, del suo lavoro.
La filosofia dello spirito è terminata; la Cri-