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350 | scritti di renato serra |
«Il cielo — Un segno sul foglio e si senta per sempre quest’onda melodiosa di azzurro sulla mia testa, quegli strappi di luce sulle montagne lontane, fra i rami nudi dei pioppi. Questo profondo e limpido mistero sulle cose.
«L’acqua — E, coli l’Ombrone verde, ghiaccio, frettoloso, accanto a me, fra le due sponde rapate....».
Ecco Soffici.
V.
Domina con la sua figura il campo della critica come D’Annunzio quello della poesia. Si potrebbe continuare il parallelo; poichè si parla, per l’uno come per l’altro di fine, o almeno di stanchezza, di superamento; e si sente qua e là della ribellione e del fastidio, quasi desiderio di sottrarsi a una disciplina che ha fatto il suo tempo. Desiderio vano, in tutti e due i casi; desiderio di scolari.
Per altro c’è del vero anche in questo errore: il sentimento di qualche cosa che è finita, si è compiuta; come al termine di una giornata di lavoro, quando la gente si reca i suoi arnesi in ispalla e si divide e va per i fatti suoi; chi ai piano, chi al monte; e la figura di colui che sale la costa solitaria appare a un tratto lenta e grande a coloro che si perdono scalpicciando nella bassura del crepuscolo. Così fa Croce; ha finito una parte del suo lavoro, e si allontana: la sua persona si è staccata dall’opera giornaliera, in cui ci pareva di averlo vicino e compagno, e spicca con un profilo non più famigliare.