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le lettere | 349 |
è più semplice e limitato. Questo si vede nei tentativi di musica ossia poesia in versi, e anche nei punti dove gli vien fatto di ricordarsi il lavoro altrui: per esempio, la maniera di Renard, che pur ha qualche cosa di comune con lui, nella semplicità delle parole definitive; ma la semplicità di Renard è riflessa, e può passare dal pittoresco all’ironico; invece Soffici non può tentar di aggiungere una moralità ai suoi idilli, senza riuscir goffo. Soffici non ha altro principio letterario che il gusto della parola artistica, ed è capace di coglierla anche in bocca a un contadino, col sentimento quasi di un purista; del resto ha letto i francesi, e li legge ancora forse; ma non se ne ricorda quando scrive. È tutto d’un pezzo, paesano e semplice in questo; fa pensare a una figura ulivigna e un po’ nodosa, ma schietta; come un vecchio intaglio toscano in legno liscio e bruno.
È tanto schietto che si scorda in un momento anche le sue pose di futurismo e di cinismo e fa del sentimento come tutti gli uomini quando son soli; e incontra per la campagna satiri e fauni con una ingenuità di scolaro del ginnasio; oppure con delle parole in libertà compone una passeggiata limpida e ordinata come un disegno classico.
Insomma, è un artista; e non importa prendergli la misura della grandezza.
È uno per cui le parole non solo esistono; ma vivono: sono una gioia e un desiderio, che si esprime tutto, con la sobrietà felice dei classici; dei quali non sai dire quanto sian profondi, perchè son belli. Anche lui lo sa, nella sua febbre quieta.
«Posar le parole come il pittore i colori e vedere il mondo spiegarsi nel suo splendore.