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346 | scritti di renato serra |
non difficile ma rara e concentrata intorno a un punto solo, sfugge completamente; e resta solo un’amplificazione stemperata, una descrizione superficiale ed entusiastica del contenuto. Anche i saggi di traduzione erano, come si dice, fuori di fuoco; falsi, criticamente; ma bei pezzi di prosa un po’ volgare; bozzetti vivaci; a quel modo che anche nella critica d’arte la miglior cosa erano certe descrizioni del quadro o della scultura, non come fattura e valore artistico, ma proprio come soggetto, alla buona maniera antica; paesaggi e figurine e schizzi buttati giù alla brava, con evidenza felice. Qualche bella pagina descrittiva era anche in Lemmonio; ma era quasi sempre bellezza di qualità un po’ inferiore, superficiale; un sapore più facile e piacevole, che personale.
Lo scrittore si mostrò sincero, senza accessori, tutto preso dalla semplicità di un lavoro più modesto d’apparenza, ma più lirico veramente e unito e liscio, in due o tre bozzetti sulla Voce; e trovò poi la sua forma, che per adesso è definitiva, nel Giornale di bordo; cominciato con impressioni di ferrovia, da Firenze a Parigi, e continuando settimanalmente sull’Acerba.
Inutile analizzare questa forma: paragrafi staccati, come fogli di taccuino colla data sopra, del giorno in cui sono stati spiccati, e i segni del luogo, dell’ora: appunti, boutades, riflessioni di lettura, conversazioni di caffè, sfoghi di umore buono o cattivo, strofette malthusiane, frasi o figure colte a volo, effetti di luce, sogni, ricordi: il dialogo con una donna che torna a mente improvvisa, il tramonto che si liquefà nei vetri delle finestre. Soffici non è cambiato: ha sempre le sue abitudini, le sue pose, le sue debolezze. Se la prende con una infinità di mulini a vento; ha la