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le lettere 345

mente; sopra tutto non è orchestrata, non ha nè dialettica nè contrappunto nè periodo; è quel che è, tutta d’un colpo, senza ombre e senza segreto: ed è intera, nella sua semplicità, non sbavata, non prolissa, ma dura, ferma, sana. Non ha sempre la stessa delizia; ma anche quando non è caduta bene e non prende valore, conserva sempre la stessa semplicità rapida e senza ritorni.

È la sua natura. Non si dice con questo che sia qualche cosa di incosciente o di primitivo; solo nelle ultime prove si è rivelata; e la strada per arrivarci è stata curiosa. Soffici cominciò a scrivere degli stelloncini e delle impressioni parigine sulla Voce, tornando appunto da Parigi, come pittore modernista e pratico di cenacoli e di novità; lasciava cadere quei pezzetti di carta con una bizzarria e sprezzatura di uomo che si può permettere e far perdonare tutto, perchè tanto il suo mestiere è un altro. In realtà ci metteva di molto impegno e sopra tutto uno sfoggio di colorito e di parolette toscane, che finivano a essere assai pedantesche e confondevano l’impressione in un luccichìo superficiale. Seguitò poi a scrivere, con più gusto a mano a mano; facendo della polemica e poi della critica d’arte di proposito, e accanto a quella un po’ di tutto, anche della letteratura, delle prefazioni, dei saggi, dei romanzi.

Come tutti gli artisti veri pare che egli si sia dedicato a fare con più passione le cose a cui era meno disposto; lasciamo stare altre cose, ma la critica è stata per un pezzo la sua manìa. Scrisse un libro sopra Rimbaud, per esempio, che tutti i lettori del poeta durano fatica a perdonargli ancor oggi; un libro a cui il problema puramente artistico di quella poesia e di quella sensibilità,