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le lettere 341

trà avere press’a poco per titolo lo sturm und drang culturale della gioventù italiana nel primo decennio del secolo XX. E sarà l’ultima mistificazione; perchè Papini non è soltanto un episodio di cultura o una curiosità del costume o un fenomeno di vanità letteraria e ciarlatanesca, come dicono quelli che vogliono viver tranquilli dentro una definizione, ma è anche un uomo d’ingegno e un vero scrittore. Soltanto bisogna intendersi: non è quello che pare. Quest’uomo che ha dato a sè e agli altri l’illusione di un’audacia intellettuale senza confini e di una malizia quasi diabolica dardeggiante in lingue di vipera e di fiamma sopra tutte le cose di questo mondo e dell’altro, filosofo e teosofo e poeta delle tragedie cerebrali e rivoluzionario e futurista senza pace, in fondo è quasi soltanto uno scrittore, nel senso più vecchio e più retorico della parola; un facile e pronto e robusto scrittore, che sa improvvisare un’amplificazione sopra qualunque tema con una bravura ammirabile e riesce come pochi a costruire la pagina solida, vivace negli effetti e risoluta nel taglio. Si dice che la sua è piuttosto eloquenza che calore, bravura e non originalità; e la sua forza è arida, con un fondo di durezza e di grettezza toscana, capace di beffe senza ironia, e di paradossi senza novità; ha dello spirito meglio che del pensiero: pensiero pareva in lui quella certa vivacità e turbolenza dei venti anni carichi di letture e di orgoglio sommario; non ne è rimasto molto poi nella stagione della maturità secca. La sua creduta potenza di inventare idee è finita a sviluppare certi pseudo-paradossi di una semplicità meccanica e desolante, luoghi comuni rovesciati, sopra i morti e i genitori e il genio; press’a poco sul tipo delle cicalate del cin-