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le lettere | 337 |
riflessione di una scrittura più arguta e chiara che non lirica e saporosa — è la differenza dal Panzini — una certa curiosità e cultura moderna. orientata verso i francesi, scrittori di romanzi e di saggi e di varietà piacevoli, e verso alcuni problemi, massime del positivismo e del contrasto fra il nuovo ideale arido della scienza e le antiche forze della religione e del sentimento, che toccarono gli animi circa il 1890 e il 1900, e diedero lo spunto a qualche suo romanzo un po’ a tesi.
Da questi principi si è sviluppato uno scrittore nuovo e schietto, che usa parcamente una abilità tecnica rara. Pochissimi sanno comporre e raccontar bene come lui; con degli effetti così sobri e così sicuri di taglio, di sospensione o di scorcio; con quella velatura, nelle novelle di ricostruzione storica, sia vicina che lontana, dell’età di Napoleone o del risorgimento o del seicento, di un color del tempo così sicuro e tenue, senza nulla di volgarmente pittoresco; con quella evidenza di particolari significativi senza singolarità. Dell’elaborazione e dell’esercizio letterario gli è rimasta nel dire una pulizia, che ha rinunziato alle vanità retoriche così come a ogni pretesa di lirismo e di poesia spiegata, ma ha tutta la gentilezza, appunto, della rinunzia; e una varietà di risonanze e di inflessioni lievi, una limpidezza, una precisione, un non so che di corretto e di pudico, che dissimula signorilmente il pathos di una natura tenera e sensitiva. Il suo umorismo non è intenso, ma sincero; e i paesi son chiari e le figure schiette, piene di naturalezza e di affetto e d’interesse nella modestia dei casi. Non è uno scrittore che abbia inventato o creato cose grandi; ma, in questo secondo piano di cui si contenta,