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le lettere | 331 |
La felicità nell’arte ha ben poco di comune con l’onestà delle intenzioni; quanti sono che andando dietro al piacere e al successo nel modo più semplice, finiscono a trovare dei momenti di fortuna nuova, inaspettata e durabile; è un gran dispiacere per i moralisti, che vorrebbero che il dono dell’arte fosse concesso soltanto a quelli che se lo sono meritato asceticamente; ma il mondo va così.
E così accade, per esempio, di trovar delle cose belle nella Vivanti, e potenza vera di scrittore in Guido da Verona: son due che dovrebbero appartenere alla categoria più comune dei mestieranti.
Sapete bene che la Vivanti è una di quelle donne che scrivono, secondo il vecchio tipo più semplice, fra le Delfine e le Colet; Delfina come fanciulla e musa, e poi come bella signora della società per bene; ma Luisa, per l’ingenuità dell’esibizionismo letterario, che dei ricordi della conversazione col Carducci e dell’orgoglio di aver messo al mondo un piccolo prodigio di suonatrice, fa tutt’insieme prosa per il pubblico; prosa di una vanità così sincera, anche in quella lieve falsificazione di estetismo moderno! E poi va dietro al successo e all’attualità con un candore che arriva a trasformare in letteratura per i giornali — con bello stile di passioni e condimento di inquietudine morale — anche il fatto diverso e il processo celebre. Ciò non le toglie, per quella inconsapevolezza che è il segreto delle nature femminili, un dono di avere delle impressioni sue e di farle nascere qua e là nelle pagine come fiori di una freschezza svelta e tutta nuovamente trovata. È inutile poi osservare che certi effetti di presentazione bizzarra e gentile anche di cosette