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330 | scritti di renato serra |
lo dicono esaurito e che fastidiscono nel suo scrivere lo sfruttamento meccanico e interessato di una maniera che non si sa più rinnovare.
Tuttavia non vorremmo scordarci che molti dei suoi vizi così odiosi nascono sempre da quel profondo e torbido lirismo che si travaglia nella sua anima e grava sulla mano male e falsamente educata all’arte. È un poeta alquanto cattivo e noioso; ma appartiene alla razza dei poeti. Ciò si può dire di pochi e può fargli perdonare molto, e forse salvarlo ancora.
Più in disparte, e più in alto, in un certo senso, si trova anche Federico De Roberto: uno di quelli a cui nessuno nega, quasi per consuetudine, rispetto e stima; ma che restano sempre un po’ indietro, in una seconda luce austera e discreta. Scrittore di romanzi, dialoghi e saggi di psicologia letteraria, senza molte concessioni alla moda giornaliera: accurato e sincero, con degli scrupoli artistici e delle curiosità intellettuali non comuni, e forza di osservazione, e senso schietto di umanità. Registriamo così un poco in astratto i suoi pregi, per rendere il carattere più vero di quelle pagine. In fondo egli è rimasto, pur con molta serietà di animo e di lavoro, limitato fra l’ideale dell’osservazione verista (di Verga) nel narrare, e il tipo delle variazioni psicologiche un po’ superficiali — e massime di curiosità amorosa — intorno a episodi storici, che fu di moda in Francia dopo Sainte-Beuve; ma De R. si accosta meglio a quel che fa oggi Faguet, e che fece tra noi qualche volta, assai piacevolmente, Martini, ai tempi del Fanfulla. Infine, la sua sincerità non arriva a essere originalità; e la sua fatica è più nobile e acuta che non veramente felice.