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le lettere | 317 |
Niente di quel che è proprio, per esempio, di Maupassant, non diciamo come creatore di sensazioni e di realtà, ma semplicemente come maestro di raccontare, come personalità letteraria, niente si ritrova in queste pagine superficiali; in cui il realismo è fatto di convenzione e di maniera, e le persone sono mannequins, e i paesi son decorazione stilizzata, e perfino la sensualità è falsificata, verniciata di non so che decenza mondana, che evita tutti i particolari crudi (pensate lo scandalo che farebbe una Boule de suif oggi, o En campagne; nè c’è cosa più schietta e più sana, in fondo!), e unisce l’egoismo del piacere avido e facile a un falso idealismo di moda.
Del resto, non bisogna prendersela nè con la ipocrisia nè con altro; poichè tutto, bene o male, è ridotto allo stesso valore; motivo a produrre delle pagine.
Gente che aveva una certa personalità — magari fatta di difetti — in altre cose, la perde nelle novelle; in cui Moretti somiglia alla Guglielminetti, e Pastonchi a Térésah; gente che l’aveva avuta, la perde a poco a poco: perfino il colore regionale — quella benedetta Maremma e Romagna e Sicilia e Sardegna che pareva dovesse affliggerci in perpetuo — si va sciogliendo e uguagliando a vista d’occhio nello stampo comune.
Tutto si logora, si accomoda all’uso anonimo e corrente. Non si tratta più di osservare la verità, di scrutarla, di rappresentarla; e non si tratta neanche di far del bello stile o del sentimento o dell’ironia o dello snobismo.
Si sa press’a poco che una narrazione deve avere quei tali requisiti: il canone si è costituito attraverso gli anni, e adesso è quello che è; e non resta altro che accettarlo.