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312 | scritti di renato serra |
parte dei futuristi ufficiali, come negli altri vari liricisti — Cardarelli e simili — ; è una nota di costume, su cui è inutile fermarsi (pii.
Ma in Palazzeschi è un principio poetico, che si sente tanto più naturalmente, quanto minore è in lui la cultura e la elaborazione letteraria. È inutile cercare i suoi maestri; si direbbe che egli abbia preso il suo spunto dall’aria che respirava o da qualche lettura superficiale e frammentaria; un po’ di D’Annunzio (della Pioggia nel pineto....) e poi di Gozzano e Moretti, forse; o meglio ancora, certe poesie di terz’ordine, tentativi di versi liberi che dureremmo fatica a identificare. Gli è bastato assai poco per sentire l’incanto di una poesia, per così dire elementare, anteriore alla fattura e all’elaborazione, fissata nel momento più vago, quando è ancora solo un desiderio di immaginazioni leggiere e sopra tutto un respiro crescente della frase che s’alza verso il canto e ancora non ne ha trovata la misura.
Egli è andato per questa via, non molto lontano; senza passione e senza musica profonda. Questo, fra parentesi, ha permesso ai lettori di gustare più facilmente la sua novità, limitata alle disposizioni più semplici.
Nei primi versi si sentiva predominante una sorta di musica, come un respiro che cresceva e cresceva, fino a una battuta alessandrina prolungata e raddoppiata, e poi scendeva e si sedava a poco a poco, in battiti sempre più brevi, più piani.
Poi è sopraggiunto un raffinamento più sottile, come se il poeta si accorgesse, e però si stancasse, di quella certa monotonia che era nel primo procedimento; e abbiamo avuto cose più rare, suoni leggeri, musiche purgate di ogni risonanza melodica e di ogni ripetizione, giochi di immagini