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le lettere | 309 |
tri e tutti gli altri, che seguitano a far dei versi da più di venti anni!1
Lasciando star costoro, intorno a noi questo scorcio di stagione letteraria è tutto pieno di speranze e promesse giovanili sfiorite e imbozzacchite con una rapidità sempre crescente: quanti volumi di versi, che furon presi sul serio per tutto lo spazio di un inverno o di una primavera, e che hanno servito ai lor autori solo per prendere un po’ di spinta e spiccare il salto verso il giornalismo, o magari i libretti d’opera!
E adesso bisogna fare uno sforzo per ritrovare nella memoria il titolo e l’impressione esatta del volume. Uno ne scrisse Térésah, con dell’ingegno, mi pare, e una certa sovrabbondanza giovanile e femminile insieme; e molte reminiscenze,
- ↑ Nominiamo a parte, non per dispregio ma con rispetto discreto, Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi. Anche lui scrive dei versi da più di vent’anni; senza aver superato quella facilità di commozione letteraria, che lo invitava giovine sulla traccia dei grandi. Carducci e Pascoli e i francesi; ha una certa verdezza, una certa gagliardia apuana, ma niente di nuovo neanche nelle aspirazioni. È sullo steso piano di Pastonchi, con meno felicità tecnica. Ma quantunque valgano i suoi versi, non bisogna scordare che egli ha vissuto per quelli; non ha fatto altro: non è nè un giornalista nè un professore nè un impiegato: è uno che scrive dei versi. E c’è in questa sua devozione e sacrificio della vita alla poesia, qualche cosa di un po’ trapassato, ma rispettabile e generoso; come quell’amore che cantavano i trovatori, così puro e tuttavia convenzionale, per una madonna che ci pare dipinta. Il nostro amore moderno ha forse dei pudori più selvatici e più sdegnosi; non canta; neanche alla poesia. Del resto, questo è un altro problema di moralità letteraria. E non importa servirsene per limitare la simpatia verso il buon Ceccardi.