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308 | scritti di renato serra |
spegne negli occhi la luce dei vent’anni. Anche le sue novelle del resto, che interessavano dapprima per un contrasto facile, ma ben risentito, fra le umanità della cultura e le ironie spicciole della vita, hanno seguito la stessa sorte, acquistando di garbo e perdendo di sapore.
Adesso Massimo Bontempelli è forse più banale degli altri; e versi non ne scrive più, credo. Press’a poco come Pastonchi: le cui esercitazioni poetiche avevano un valore notevole dieci anni fa, quando venivano da un giovane; in cui l’abilità e la facile eleganza potevano annunziare l’ingegno; mentre quella disciplina accademica e quella tale severità di tecnica esclusiva erano di certo, data la stagione e il contorno, un’audacia e un principio signorile. Oggi non c’è più nessuno che prenda Pastonchi per un poeta; è un buon dicitore, dalla voce rotonda e dall’orecchio esercitato; capace di far delle canzoni come delle recitazioni. Del resto anche lui si adatta a fabbricar novelle, come Bontempelli si è lasciato relegare in certe cronache musicali retrospettive, per il Corriere.
Per riassumere, questa è tutta poesia che si potrebbe dir transitoria, provvisoria: vi si può apprezzare, di solito, un momento di giovinezza studiosa, che si prepara e spera cose migliori; e poi, il più delle volte vi rinunzia: quanti Iuvenilia a cui non segue mai il volume delle Rime Nuove!
E valgon meglio quelli che abbandonano addirittura ogni pensiero di versi, che non quelli che si ostinano in un artificio, il quale, secondo la sentenza antica, così come conviene alla puerizia, è ridicolo e inetto in un uomo. Pensate dunque: Fausto Salvadori, Alfredo Baccelli, Giorgeri-Con-