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304 | scritti di renato serra |
Così ha finito per perdere anche quell’impeto giovanile e quella sorta di melodia zingaresca che dava talora un accento strano alle sue cose banali; come certe parole di donna, che son così comuni e pure ci turbano. Il più delle sue cose ultime sono imitazioni e reminiscenze letterarie: ma imitazioni disparate, e che rivelano il posticcio di questa letteratura, che rifà il Pascoli (non il migliore: quello del Negro di St. Pierre e delle altre terzine), tutt’insieme col D’Annunzio e perfino col Gozzano. Di personale non c’è altro che qualche momento dell’antica foga, piuttosto desiderata che ritrovata; foga accesa e un po’ torbida, che dà l’illusione di travolger tanti sensi freschi e profondi, e in fine non lascia nulla; si esaurisce tutta nella cadenza obbligata del verso, nelle zeppe e nel ripieno sonoro. E le liriche son tutte di motivi astratti, generici, sviluppate su una metafora o su un’allegoria, un giardino, un viale, un pozzo, una casa abbandonata: che se hanno un contenuto particolare, allora cascano nella poesia di occasione; quella che fa tanta fatica a fare i versi sopra un argomento determinato!
Tuttavia Ada Negri non è finita in queste cose. Ricordiamo di lei delle impressioni di hôtels svizzeri e di anime femminili, mandate a giornali, in una prosa nervosa, viva a tratti, che val molto meglio dei versi. Son passeggiate, interviste, spiragli sopra un mondo che ha qualche cosa di nuovo, non ancor rivelato; mondo degli alberghi di legno sui prati verdi e delle donne che son per passare la crisi, che hanno i capelli grigi ma gli occhi giovani e chiari; una giovinezza nel grigio, una inquietudine incerta, un bisogno acuto di crearsi una ragione propria di vivere; di viver