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300 scritti di renato serra

vrebbero suscitare tanta speranza: mettiamo da canto le convenienze, e la stima, e l’amicizia, e tante belle cose. Versi che si facciano leggere in Italia non ce ne sono.

Li poesia per noi, se vogliamo parlare con coscienza, son le edizioni complete di Zanichelli, ben chiuse in una busta di cartone, come il regalo che bisogna accettare a forza per qualche debito di antica riconoscenza, il regalo infelice nel suo astuccio, da cui non lo caveremo più mai; sono i volumi di carta a mano, coi titoli grossi e neri sulla copertina bianca, che spiccan nella vetrina con un’aria di inutilità così perfetta — ogni tanto ne sfogliamo qualcuno, e alziamo un lembo di pagina col dito cauto, come gente che ha perduto oramai anche la speranza di farsi ingannare — ; sono i libretti e i fascicoli, che capitano qualche volta sulla scrivania, non si sa come, e che si lasciano scivolar nel cestino guardando da un’altra parte, con un piccolo brivido di rimorso per via della dedica; sono i mattoni rossi dei futuristi, che non buttiamo via per non parer gente arretrata, ma che non ci arrischiamo di rimuovere per paura di sollevar quel dito di polvere che c’è sopra; sono tutti quei nomi rimasti fra le pagine della Nuova Antologia o nelle collezioni dei fogli letterari come fiori ben secchi che nessuno turberà più nel riposo perpetuo e cartaceo: si sfogliano talora le pagine in fretta, per cercare un articolo, e i versi ci passano sotto gli occhi come spazio vuoto, assolutamente ozioso, senza neanche il ricordo di quel mezzo minuto che forse spendemmo a scorrerli nella stampa fresca.

È quasi inutile precisar con dei nomi particolari queste impressioni comuni e definitive.

Potremo ricordare quelli che rispettiamo senza