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296 | scritti di renato serra |
tre il «gozzanismo» di Gozzano era più che altro un gioco verbale, di cui l’artista si compiaceva nella sua delicatezza — non importa se poi anche lui s’è lasciato prendere un poco a quel gioco — e di cui si valeva, come di ogni altra qualità dell’anima o del canto, a render l’espressione più precisa della sua persona, il gozzanismo degli imitatori è diventato un principio poetico, una ragione sufficiente per mettersi a far dei versi, i quali non hanno altro scopo che ottenere quella risonanza e osservar quella formula. Questi giovani scrittori — come molti critici, del resto — hanno creduto in buona fede che bastasse scriver dei versi come prosa e delle sciocchezze come cosa seria per far della poesia; qualcuno ci ha aggiunto un po’ d’imitazione francese, da ieri (Jammes, Guérin, ecc.), ed ecco compiuta la nostra scuola di «poeti provinciali».
Non facciamo dei nomi che sarebbero inutili; il valore di queste cose, che del resto stanno per passare di moda, molto facilmente, è affatto generico, e non supera la curiosità della ricetta.
Quelli che hanno parlato a questo proposito di lirismo nuovo, più intimo, che si ricerca e si esprime quasi nella mancanza di passione e di impeto, nella nudità e nella mediocrità, hanno detto una cosa assai vaga; che può essere vera, così in astratto, come definizione psicologica di tutto un orientamento della poesia moderna (francese!), che pur risale di molto indietro: diciamo qualità psicologica, piuttosto che lirica, perchè nasce dalla saturazione letteraria di certi spiriti. Ma nel fatto particolare, la novità si riduce a qualche cosa di molto più meschino; si riduce al piacere di imitare l’ultimo venuto, alla curiosità di ripeter l’ultima canzone; ed è soltanto un caso che