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288 | scritti di renato serra |
fuga e dei suoi soggiorni in Napoli, di tante altre cose rare e svariate, con una grande serietà, un po’ ingenua per la mancanza quasi completa di spirito critico e di metodo erudito, un po’ arruffata e pur piacevole nei suoi episodi; che sono, accanto ai documenti e alle discussioni storiche, dei quadretti di genere deliziosi, delle ricostruzioni di vestiti e di luoghi, di conversazioni e di lettere, piene di fantasia impreveduta e di sapore autentico; questo è scritto con quella prosa singolare, alquanto incerta, confusa di colori e ritocchi moltiplicati, talora semplice e talor pretenziosa, non priva di errori e di stonature, che prendono a quando a quando un valore così profondo di passione e di evidenza. È il poeta che si fa sentire attraverso l’erudito; e una parola gli basta a dar la realtà alle sue fantasie e la musica ai suoi sospiri.
Poichè Di Giacomo, sarebbe inutile e pur fa piacere ripeterlo, è un poeta vero. Di cui è difficile misurare la grandezza e definire il carattere appunto per questo, che il dono della poesia è puro in lui, è musica schietta.
La materia dei suoi versi pare semplice, quasi mediocre: sono bozzetti di genere, scene drammatiche e canzoni per musica: ciò non esce dalle tradizioni consuete della poesia dialettale, e pare che non abbia, nell’intendimento dell’artista, altra pretesa che un certo realismo, pittoresco e commovente, nei sonetti, e il solito sentimento e la solita melodia napoletana nelle canzoni. La nota più squisita è data da un gusto di evocazioni del passato, da un po’ di nostalgia settecentesca; e nelle cose ultime c’è anche qualche novità di analisi personale. Non è molto tuttavia per noi che siamo avvezzi alle preziosità di cultura e alle