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le lettere | 287 |
Dov’è Salvatore Di Giacomo? Dicono che egli abbia seguitato a creare poesia anche in questi anni; dopo l’edizione compiuta di Ricciardi scrive delle canzoni per un trust tedesco di dischi grammofonici, mi pare; dodici l’anno: bellissime, dicono. Ma noi non ne sappiamo nulla. Qualche cosa che è venuta fuori sui giornali di Napoli e di Roma non era molto bella, e non aveva niente di nuovo. Quel che ci appare di lui è una operosità letteraria, che non interessa direttamente la poesia: lavora per il teatro, promette una ristampa delle sue novelle, scrive dei saggi di erudizione varia, massime napoletana e settecentesca.
Lasciamo stare le novelle, a cui egli stesso vuol dare solo l’importanza di un documento; e, per quel che ricordiamo, il documento sarà prezioso, non solo per la vivacità pittoresca profonda di certe pagine e per il rilievo più compiuto che renderà alla fisonomia giovanile dell’artista in formazione; ma anche per il ricordo di un momento letterario abbastanza curioso in Napoli, tutto pieno di letture e di cultura francese, da Maupassant a France; ne son derivate certe qualità del giornalismo napoletano che meritano almeno un po’ di osservazione, se si pensa che hanno avuto qualche efficacia perfino su D’Annunzio, e che di lì viene, per non parlar di nessun altro, Bergeret.
In quanto all’erudizione, tutti sanno che valore, abbia per Di Giacomo; è un poco una mania, un passatempo forse necessario all’artista, che si riposa in quelle minuzie e pare che si diverta, aspettando le visite della poesia.
Così si è occupato e si occupa delle canzoni d’una volta, della storia dei teatri e dei musici e degli attori napoletani, di Casanova e della sua