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molto; probabilmente si tratta di date intenzionali. Queste cose son tutte scritte adesso, di giorno in giorno, fra il 1911 e il 1913. Non pensiamo a fogli veramente e materialmente staccati dal taccuino; D’Annunzio è di quelli a cui ben poco avanza nei cassetti, che non sia adoperato subito.
Ma le cose restano nel cuore e nella memoria; immagini e sensazioni sospese, che non han servito a nulla.
È venuto il giorno, con questi anni febbrili, in cui gli è sembrato di poter cavare del materiale per i tipografi anche da quelle: e si è messo a scriverle, a una a una, senza programma, senza regola, di tempo o di argomento, mescolando i ricordi di collegio e le impressioni d’oggi, Firenze e Venezia e Parigi e le lande, l’idillio dell’amore e delle api, le sensazioni della musica e della pittura, la ragia che cola, la primavera che preme....
Non è possibile fare una rassegna di queste impressioni che hanno la rapidità e insieme la assolutezza del momento; la vita o la memoria le ha portate sulla soglia dell’officina all’artista, che non le ha lasciate fuggire; si è contentato di fermarle sui margini del foglio o su un ritaglio di carta; le ha raccolte, pur riducendole alla misura del suo stile, nelle «contemplazioni»; le ha lasciate più libere popolare e animare tutta la «prefazione»; e a mano a mano ne ha fatto nelle «faville» quasi un giornale, a frammenti e ritocchi, del suo passato e del presente.
Viene in mente Chateaubriand vecchio, che si piegava a scrivere e a far pubblicare, per la forza di un contratto lauto, sopra un foglio quotidiano, le memorie d’oltre tomba: e quella scrittura quasi d’occasione, con tutte le sue correzioni e gli accomodamenti dopo il fatto e le pose e le rifles-