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paghi e le stampi, la qualità vera di D’Annunzio si dimostra con una purità repentina; senza schemi, senza programmi. È D’Annunzio che prende una cosa qualunque e la scrive.
È uno spettacolo bellissimo.
Son cose del suo passato, della sua vita, che ci riportano dinanzi le amanti, i giardini, le cere, i cavalli, le abitudini e le pose consuete; ma tutto questo materiale un po’ falso e stilizzato ha poco valore nella pagina nuova. È un pretesto per scriverla. Quel che importa è soltanto lo scrivere; D’Annunzio che si ferma sopra un punto, un ricordo, una sensazione e la esprime; ne cava una pagina e poi ha finito. Va per il suo cammino: la pagina resta dietro di lui lieve e sciolta come una foglia non legata a nulla; piena e perfetta in se stessa, limpida come una goccia d’acqua pura.
Sono gli articoli di cui è composto il libretto sulla Contemplazione della morte, la prefazione alla Vita di Cola di Rienzi, le Faville del Maglio, la Leda senza Cigno; in genere tutto quello che è uscito settimanalmente sul Corriere della Sera.
È inutile qui analizzare e distinguere; la Contemplazione, come ognuno ricorda, è la cosa artisticamente meno pura, è la scrittura d’occasione prolungata e gonfiata sopra uno dei soliti schemi; e ritrova, per dire i ricordi degli incontri e delle conversazioni col Pascoli, il tono ieratico delle vecchie epifanie di estetismo eroico; così come raccoglie dal San Sebastiano e dalla Parisina un poco dell’ostentazione di interesse mistico e di inquietudini spirituali; fra una falsità e l’altra la parte personale appare minore; si riduce a qualche episodio, a qualche momento di contemplazione in cui la scrittura rapida si riposa quasi senza avvertire; notando i segni dell’ora e del-