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278 scritti di renato serra


Per lui tutto è possibile: anche far coincidere questo momento che sembra di decadenza e di falsità suprema con dei momenti di lirismo e di felicità quasi senza paragone.

In un certo senso, questi ultimi anni e ultime cose hanno consumala la decadenza del mago. Le illusioni e i prestigi che circondavano come una aureola l’opera di lui son cadute quasi di colpo; sì che l’artificio meccanico e monotono della fattura si mostra a nudo, nella fretta del lavoro.

È caduta anche la cornice materiale, che dava alla sua vita tanta preziosità quasi mistica, immobilmente inginocchiata in orazione fra le cose belle della Capponcina; l’hanno cacciato dalla villa, gli hanno venduti i cavalli bianchi e i cani, la roba greca di Signa, i ferri battuti e i cuoi stampati, le immagini sacre e i corali e gli inginocchiatoi. L’esteta esiliato ha piantato tranquillamente la sua tenda in Babilonia, e s’è messo a lavorare, pronto a tutti i comandi e a tutte le ordinazioni; scrive degli articoli letterari e delle canzoni nazionaliste, secondo l’occasione, per il Corriere della Sera, dei libretti per Mascagni e dei balletti per delle mime russe, dei misteri e dei drammi, scrive per l’Italia e per la Francia, per l’oratorio e per il teatro e per il cinematografo, senza differenza e oramai senza maschera; tutti i clichés sono scoperti e i motivi esauriti, sfruttati fino all’ultima monotonia, nell’opera venale.

È, come fu detto, una liquidazione; un uomo che vuota i suoi cassetti.

Il lirismo, che attraverso il grande inganno delle Laudi aveva pure creato cose belle e perenni, pare spento; D’Annunzio non ha più scritto, dopo Il commiato, un verso degno del suo nome; e an-