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272 | scritti di renato serra |
d’ostentazione, o al massimo di curiosità: che unisce la gente più diversa come una moda che tutti possono seguire, poichè non tocca la forma degli spiriti.
È uno degli obblighi di questa cultura che procede per categorie; stabilisce così in grosso degli argomenti, delle cose che bisogna conoscere, dei libri che bisogna aver letto, e di cui il titolo e qualche memoria è necessaria alla conversazione mondana.
Non c’è nessuna religione letteraria in questa curiosità senza discernimento; c’è, al più, un poco di superstizione, la superstizione enciclopedica del conoscer tutto, del valore assoluto e necessario che assumono ugualmente tutte le opere di tutti i popoli e di tutti i generi, pur che sian riconosciute dalla storia, ufficiale o eretica; aggiungete che alla superstizione si mescola, in modo che può riuscir comico, un istinto di iconoclastia, un desiderio vago e intenso di portare in mezzo a noi, come roba attuale e comune, questi idoli consacrati, di abbassarli alla nostra portata, di ridurli tutti alla misura del nostro interesse, cambiando e rinnovando i valori, sostituendo alla venerazione dei nomi l’interesse delle cose.
In questa materialità delle «cose» non ci son più differenze di tempo o di razza o di genio: un classicismo eclettico comprende l’antichità e la modernità, i greci del V secolo e i tedeschi del XIX, i capolavori tradizionali e le curiosità dell’erudizione, gli originali e le traduzioni, buone o cattive: perchè ciò che importa non è la lettera, cioè la fisonomia particolare dell’opera, con le sue sfumature, le sue affinità spirituali, la sua espressione diretta e la sua conversazione intima, ma