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le lettere 271

è grande nello scrittore, amaramente duramente umana e quasi pura nel romanziere, lirica a tratti e commovente come il pianto di uno strumento ingrato nelle confessioni e nelle malinconie dell’uomo, sfugge quasi del tutto alla nostra lettura pretensiosa; così come sfugge il dramma intimo, quella mescolanza di bassezze e di purità, di debolezza morale e di potenza d’ingegno, di solitudine e di tumulto, di stanchezza accorata e di ostinazione temeraria, quella dialettica di passioni e di momenti contraddittori, che fa della vita di Oriani il più vario e il più ricco dei suoi romanzi. Ma noi diciamo che Oriani è un grande storico, un gran pensatore; per poco non arriviamo al martire e al profeta: quel che interessa, così ai lettori come ai critici, è il valore generico, il nome, l’inquadratura, le formule astratte, che poi, bene o male si adattano sempre: alla personalità, alla luce esatta, all’impressione sincera dei particolari, nessuno ci bada.1

Poichè questo è in fine il nostro carattere più vero, nella cultura, come nell’arte: la banalità, l’imprecisione; la grossolanità delle disposizioni generiche senza la vita e il rilievo dei particolari. È una specie di divulgazione, di livellamento democratico: che del resto è comune anche alla cosidetta aristocrazia, all’idealismo, al tradizionalismo, al classicismo: anzi! E forse la espressione più schietta di questa qualità del momento è proprio codesto classicismo, tutto d’apparato e

  1. Si potrebbe ricordare anche Dossi; al quale pure è stata resa una giustizia postuma, assai grossolana e spropositata: e più, perchè il suo disuguale valore è affatto artistico, senza le parti drammatiche e morali, che, bene o male, fanno accessibile Oriani.