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le lettere | 265 |
Non c’è passione e non c’è serietà nella nostra arte, come non c’è curiosità vera e intelligenza profonda nella nostra critica.
L’orgoglio dei nostri «superatori» è tutto sterile e nasce dalla debolezza e dall’egoismo piuttosto che dalla superiorità. Liquidazione del passato, esigenza della coscienza critica, originalità e italianità son tutte parole dell’ambizione.
I movimenti spirituali della generazione che ci ha preceduto non sono superati, ma piuttosto lasciati cadere dalla nostra volgarità, a cui i giudizi in grosso, e le categorie, per dir così, di cultura, suppliscono le impressioni dirette del gusto, le simpatie e le conversazioni intime dell’animo.
La stessa mancanza di imitazione straniera, la moderazione degli entusiasmi e delle mode, che abbiamo accettata come un segno di italianità, si riduce in fondo a mancanza di passione e di intelligenza. Certo, la stagione appare un po’ grigia, un po’ fredda, in confronto di ieri, anche di là dall’Alpi; ma questo non toglie che in Austria, in Germania, in Inghilterra, dove Meredith è morto ieri e Kipling è vivo, e nella Francia — che non è solo di Bergson e di Barrès e di Sorel e di Claudel e di Jammes, ma anche di Paul Fort e di Suarès e dei Tharaud e di Rolland, e non solo dei nuovi, ma anche dei vecchi, degli accademici degli arrivati, che non son finiti nè morti, — non ci sia tanto di vita e di ricchezza e di novità o almeno di maturità letteraria, da bastare alla gioia e all’ammirazione e all’educazione non di una, ma di dieci generazioni dei nostri letterati. E vien fatto di preferire i nostri predecessori, che copiavano, a questi d’oggi che non copiano perchè non sentono e non capiscono niente; che so-