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le lettere 263

sul serio. Li considera con rispetto, e qualche volta li legge con attenzione. E si annoia.

Si annoia largamente.

Il carattere più vero, più sincero, non confessato, di questa letteratura è il fastidio: si dice che interessa per non dover dire che piace.

Ma è sempre un eufemismo. Non c’è un vero e proprio interesse in questa roba fredda, passata per uno stesso stampo, senza carattere.

Abbiamo ricordato la mancanza di scuole e di divisioni, come un segno di indipendenza: in fondo è un segno di banalità.

Dove mancano le cosidette scuole, i gruppi letterari, i movimenti caratteristici, vuol dire che manca anche la passione e la vita, che non può stare senza esclusioni, senza ingiustizie, senza battaglie.

Non ci son divisioni oggi, di romantici e classici, o di veristi e idealisti. C’è stato un po’ di rumore ancora ieri fra dannunziani e antidannunziani, fra crociani e positivisti; ma è spento. Oggi è tutto pacifico: il tipo unico trionfa. C’è il tipo di prosa, realistico-impressionista per le descrizioni e per le novelle, e c’è il tipo di prosa letteraria, stilizzata, per le altre occasioni: son tipi così usuali che la stessa persona, che ha scritto una novella oggi in prosa nervosa è un po’ moderna, quando passa all’articolo di storia tira fuori subito il periodo carducciano: lo stesso giornalista che ha mandato una corrispondenza dall’Egeo tutta colore e armonie dattiliche, non s’accosterà al libretto di versi della mezza signorina incontrata al «Lyceum» senza chiudersi nello stile dottrinario, in cui le antitesi e le astrazioni rappresentano la critica. C’è il tipo per gli sfoghi personali, con notazioni di paese e parentesi liriche;