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le lettere | 261 |
cronista, che raccoglie senza discutere tutte le voci e le illusioni e le presunzioni degli interessi. Poichè tutti lo dicono, a cominciar dai giudici più ascoltati, dev’esser vero. Non ci resterebbe altro che stringerci le mani vicendevolmente e rallegrarci con noi stessi e col destino clemente che ci ha fatto nascere in buon punto.
Ma se ci guardiamo in faccia un po’ più intentamente, ci capita di sentirci imbarazzati: facciamo le viste di ingannarci l’un l’altro, ma in fondo nessuno si lascia ingannare.
Quel che abbiamo riferito sin qui riguarda solo i caratteri generici della nostra letteratura, le tendenze e le intenzioni, che son come le etichette sui barattoli: dentro, è un’altra cosa.
Potremo dire che questa gente non è vestita male: il taglio degli abiti è buono, il figurino è nuovo; ma sotto panni, che anatomie miserabili!
Se togliamo via qualche nome, di gente già vecchia, che ha cessato di produrre o che in qualche modo è al di fuori del nostro tempo, tutto quello che ci circonda è di una mediocrità sconsolante.
Le vetrine dei librai son piene a ogni stagione di volumi di cui non si vuol dir male, di cui bisogna dir bene anzi, perchè in fondo non son cattivi, mostrano un certo ingegno, una certa probità, e poi della cultura e un monte di buone intenzioni; ma dov’è uno solo che ci piaccia, che ci interessi, uno di quei volumi che si è costretti a comperare e a portarsi via, con l’ansia e la gioia e l’irritazione delle cose veramente nuove?
C’è una infinità di gente che fa il suo mestiere in modo tollerabile: ma basta.
È migliorata la tecnica, il materiale linguistico e stilistico della gente che scrive; c’è un li-