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le lettere | 257 |
basta metterne il nome anche soltanto qui, come titolo ed epigrafe di uno scritto sull’Italia d’oggi, per riconoscerne in tutte le pagine e in tutti i punti la impronta indimenticabile, D’Annunzio e Croce cominciano oggi a esser messi da parte. Il pubblico li legge, li segue, li cerca ancora; ma i segni della stanchezza e del distacco sono visibili. Non si parla solo della reazione, della infatuazione antidannunziana prima, anticrociana poi, che si è propagata rumorosamente fra i giovani, e che era ancora una forma di ossequio e di servitù. Il senso della stanchezza è entrato ora anche in quelli che conservano le apparenze della fedeltà, o forse non si curano nemmeno di affrontare il problema: è un senso vago e sottile non di ostilità, ma di ammirazione oramai definita e di curiosità già sazia, che avvolge le ultime opere dei maestri in un’aria chiusa di museo: la gente che passa davanti alle vetrine sa che cosa ci sia dentro, dà un’occhiata e tira via. Si sentono nei crocchi degli accenni ancora sommessi, dei dubbi ancora discreti: su quel che si possa aspettare più di nuovo dallo scrittore, che appartiene alla storia, che forse ha dato già tutto; qualcuno parla addirittura dell’uomo finito, e tutti sentono che c’è del vero; qualche cosa è finita, se non nello scrittore lontano, certo nelle coscienze nostre. Che hanno superato anche questi.
È la intensità, come dicono, e la rapidità della vita moderna, che consuma in un anno quel che bastava per un secolo ai nostri avi; o non è meglio l’attitudine divenuta prevalentemente critica della nostra coscienza letteraria, che ci obbliga a codesto travaglio assiduo di revisione e rinnovamento di tutti i valori?
Certo si è che il carattere più notevole, del
17. - Scritti di Remilo Serra. - I.