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le lettere 255


Diciamo pure la verità; questo par che accada a tutti, ai minori e ai maggiori, se si tolga Oriani; e anche al Carducci e anche al Pascoli.

Lasciamo stare per un momento certi obblighi di convenzione o di politica, per cui questi nomi si impongono ancora. Guardiamo all’efficacia letteraria, al senso e all’esempio dell’arte.

Allora, anche il Carducci è tramontato. Non solo nelle letture dei versi, non solo nelle discussioni e nei commenti dell’opera, non solo nell’eco sempre più breve che si desta intorno alla pubblicazione delle sue cose inedite, e massime dell’epistolario, di cui la fortuna è il segno più certo dell’interesse suscitato dall’uomo: il Carducci pare tramontato come poeta e come maestro, nella critica e nell’arte, nell’opera e negli ideali. Non c’è scolaro di liceo che non si renda conto delle angustie intellettuali della sua critica, che non si senta superiore ai pregiudizi retorici e patriottici della sua eloquenza. E anche la poesia, anche la bella e gloriosa poesia che si manda a memoria nelle scuole, ahimè, non fa più quell’effetto: si è protestato contro chi l’ha chiamata poesia di professore, ma il giudizio o almeno l’impressione, per quanto segreta e a malincuore, è rimasta: tutta quella storia appare di una ispirazione inferiore al nostro lirismo più raffinato; e poi storia, civiltà, eloquenza, polemiche sproporzionate all’oggetto, i colori e le sonorità della prosa, le rime tronche e l’uso degli epiteti, tutto il suo mondo artistico e morale ha acquistato per noi un non so che di ingenuo, nobile e rispettabile sì, ma un poco, come dire, suranné: un giovane non accetterebbe mai di potersi proporre come ideale la poesia o la prosa del Carducci, pur ammettendone le qualità. Ma