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250 | scritti di renato serra |
cura e la sapienza stilistica di qualcuno, e le sciatterie, le negligenze, i versi mal fatti, i periodi zoppicanti, e sopra tutto le banalità, le ingenuità, le goffaggini, che ti rivelavano a volta a volta il principiante, il seminarista, il provinciale, il dilettante ozioso o la donna romantica, e che restavano talora come un peso antico e molesto anche in opere altrimenti ricche d’ingegno?
Oggi, non che ci sia più ingegno o più arte; ma c’è una educazione più severa e più diffusa, un certo scrupolo e obbligo quasi di nobiltà, una certa sapienza e squisitezza tecnica, che si mostra nei versi e nella prosa, nelle clausole dei periodi e nella scelta degli aggettivi, e insomma in tutti gli effetti dello stile, dalla cronaca di un giornale alla canzone di D’Annunzio.
Ma più ancora che la tecnica, è il contenuto spirituale, la cultura, la riflessione e la coscienza intima che s’è arricchita nella nostra, letteratura.
La cultura, prima di tutto; non parliamo della cultura italiana in genere, che ci porterebbe troppo lontano, ma della cultura come carattere professionale del letterato, come materia e argomento o occasione del suo lavoro. E questa è senza paragone più ricca, più varia, al di fuori delle angustie retoriche che la limitavano ancora non molto tempo fa; pensate, per riprender lo stesso punto di confronto, alla cultura esclusivamente tecnica, grammaticale e letteraria, di un Carducci principiante; letteraria e storica sempre e soltanto, pur con l’apertura degli orizzonti stranieri, in lui sino alla fine, senza notizia diretta nè di musica nè di pittura e delle altre arti nè di scienza nè di filosofia. Voi sapete che tutte queste notizie, bene o male, sono diventale oggi di di-