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le lettere | 249 |
leggere, se l’autore sia lombardo o piemontese o siciliano; non si trova accanto alla pagina di convenzione accademica e letterata la pagina goffamente ricalcata sul francese o confusa e incerta nel tentativo dell’espressione viva corrente; non c’è più la differenza quasi di casta fra lo scriver dei letterati e dei professori e quello del volgo e dell’uso (ricordate solo i tempi, poniamo, del Carducci; e accanto a lui, lo scriver di uno degli ultimi puristi, di un manzoniano, di un romanziere lombardo come Rovetta o vicentino come Fogazzaro, e poi via via, l’uso dei giornali, quel tipo ibrido fra la pratica burocratica e la traduzione dal francese, e gli uomini politici, e gli scrittori popolari.... una selva!).
Oggi tutti scrivono, in modi diversi, press’a poco la stessa lingua; con una certa pulizia, più che proprietà, e scelta e ricchezza di vocabolario comune, che di rado si era avuta in Italia; ed è la stessa nei professori e nei giornalisti, nella cronaca politica e nel saggio storico, nella prosa poetica e nella critica: qualche disuguaglianza o singolarità si troverà piuttosto nei versi, in alcuni; ma il resto e quasi tutta la prosa mostrano un abito unico, di elaborazione elevata sopra l’uso volgare e monda di ogni elemento impuro o barbaro, che è poi infine, a chiamarlo col suo nome, l’abito fra carducciano e dannunziano spogliato delle peculiarità personali e divenuto stampo comune dell’uso.
Ma non solo la lingua, anche le altre parti dell’educazione letteraria si sono raffinate. Dov’è più oggi quella differenza profonda fra la severità e la coscienza artistica che era il contrassegno di pochi eletti, e la volgarità ingenua trionfante tutto all’intorno: fra gli scrupoli metrici e la