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le lettere 243

cui tre quarti della nostra letteratura trovano il loro impiego. Non ci sono mai stati tanti laureati in lettere nelle redazioni, come oggi nei nostri giornali. E la letteratura da un posto a parte, la quinta colonna, ossia terza pagina; in cui ci dev’essere quasi ogni giorno il saggio critico o storico, l’articolo di varietà o la novella. Una colonna e mezzo di corpo comune si paga cinquanta, settanta, anche cento o centoventi lire; e non si trova abbastanza gente che ne produca.

Accanto ai giornali, le riviste: quelle più serie pagano poco o nulla; al più, cinque lire la pagina; ma i cosidetti magazines, aziende sorte accanto al quotidiano, dànno anche quindici o venti lire, e domandan di tutto; hanno bisogno dei versi, di una o due novelle, di varietà erudite e pittoresche.

Infine, c’è il teatro, la fabbrica dei libretti d’opera, il cinematografo, che finiscon di mettere in valore, come si suol dire, l’opera dei nostri scrittori. Per poco che uno abbia d’ingegno e di produttività, è sicuro di cavarne qualche frutto sul mercato; se vuole.

Certo, non son tutte rose. Ci son delle ingiustizie, delle eccezioni. Libri buoni che si vendono poco, scrittori di merito che rimangono nell’ombra; uomini d’ingegno che patiscon la miseria e forse la fame.1


  1. Di tanto in tanto ne vien fuori qualche caso; con rispettivo seguito di sottoscrizioni sui quotidiani e appello al buon cuore letterario della nazione. Ma soltanto il modo come gli appelli son fatti, e i frutti che portano, sono un segno dei tempi cambiati. E lasciamo stare se ci sia un po’ d’equivoco nelle motivazioni, in cui, invece di rispetto cresciuto per l’arte e per l’ingegno, si può trovar facilmente un difetto molto moderno di intelligenza e di delicatezza.