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le lettere | 239 |
Così mi accadeva di mettere da parte, non dico le mie opinioni, ma i miei gusti e le mie antipatie; occupandomi di cose che altrimenti non avrei curato, e affrettando notizie o lasciando cadere addirittura nomi, a cui io porto affezione e stima.
Dovevo guardare, quanto potevo, la realtà. Che alla fine è sempre più giusta.
r. s. |
I.
UNO SGUARDO D’INSIEME.
Il mercato.
Per chi guardi dal di fuori, le condizioni della letteratura d’Italia, in quest’ultima stagione, son buone; come forse non erano state mai.
Il libro, il giornale, ossia la produzione di codesta «letteratura» è diventata, anche per quel che si vede e si misura materialmente, una parte assai notevole della vita nazionale.
È inutile dar qui delle statistiche minute. Basta scorrere un poco uno di quei bollettini di case editrici, che la posta ci porta tutti i giorni, o piuttosto fermarsi un momento davanti alla vetrina di un libraio; la ricchezza, l’accrescimento, anche in confronto di pochi anni fa, salta subito all’occhio. Erano una volta pochi volumi con quei tre o quattro nomi d’autori principali che occupavano con una stabilità immemorabile, dandosi il cambio d’anno in anno, le vetrine e l’attenzione; e lì accanto qualche smilzo libretto, che tradiva fin dalla copertina e dal posto nella mostra la gioventù dell’autore e l’edizione procurata a