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236 | SCRITTI DI RENATO SERRA |
che danzano; le ronde e le canzoni del mare, l’«aventure éternelle».
E qualcuno potrebbe pensare di andar dietro a questa poesia in tutti i suoi episodi, o di ridurla a qualità ultima di accento e di contemplazione e contrappunto; potrebbe tentare di realizzarla, fra il principio lirico da cui muove e gli effetti che aggiunge, come essenza semplice; tale forse che la si può ritrovare diffusa in tutti i momenti e concentrata, espressa o celata, in ognuno, in ogni punto magari della prima ballata; o anche esprimere come possibilità pura, come aspettazione della poesia che deve venire, delle «ballades pour me consoler d’être heureux», che io non ho ancor letto, o di quelle altre che Paul Fort non ha ancor fatto.
Io mi contento oggi della mia ballata. Questa è stata il principio e a questa dovevo tornare. Questa mi ha lavato, mi ha liberato gli occhi e l’anima dalla stanchezza, mi ha lasciato quasi nella gioia.
La quale sospirava dentro, mentre già attendevo ad altro, e cresceva e fluiva da me come un bisogno di ringraziare. Così ho fatto, dunque. Tanto umilmente da conservare alle mie parole la loro ingenuità superficiale e sentimentale. Non come un ornamento: come una verità, come una mortificazione. (Ma non bisogna dirlo! se no, non c’è più merito. Dirò anche questo, dunque).