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RINGRAZIAMENTO A UNA BALLATA DI P. FORT 233

di vano, niente che non sia mobile come una sorpresa e vivo come una musica, in quella voce che passa così naturalmente da una disinvoltura di narrazione (la rue de la Chaussée) a una potenza pronta e piena in cui quel che si direbbe il linguaggio simbolista, di una sensitività un po’ astratta (blancheur.... desert insonore) non ha più peso tecnico, è immagine pura.

L’assenza delle ombre non è un tratto peregrino: ma chi la poteva far sentire con tanta leggerezza di soffio (oublié); e non fermarsi, ma seguitare con un divertimento che sfuma quasi nell’aria insieme con le rime, e poi torna alla terra col soprassalto e il sorriso del piccolo sternuto

(Ne suis-je plus qu’une âme? J’èternue, Dieu merci.
Un petit vent d’hiver a passé par ici).

È inutile andar avanti, con questo sforzo di fissare nei suoi elementi una grazia, di cui l’essenza è la mobilità, la sorpresa, la finezza che si dissimula nella bonarietà o nella disinvoltura del discorso, e poi brilla in una scappata improvvisa.

Il poeta cammina, si ferma, s’incanta, si diverte; e si sente la sua voce, nelle pause e nelle esclamazioni; si vede il viso sospeso, su cui lo stupore della contemplazione ha dei chiaro-scuri rapidi di malizia; si sentono le cose tutt’intorno a lui, colte a volo nella loro rivelazione lieta, le cose nuove, quasi immateriali nella limpidità del mattino, ognuna al suo posto, con la sua brina e il suo silenzio.

Ci sono dei ciottoli di una sonorità e di un’allegrezza infinita, venuti fuori Dio sa come, creati dall’incanto degli occhi che si divertono a guardarli, si fissano a contarli uno per uno: son tutti