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coscienza letteraria di renato serra xxix

di comporre le sillabe in versi, fanciullo; con tutte le piccole vanità, i vizietti, le bizze del fanciullo, e la piccola mente ombrosa; un Virgilio senza la tenacia tranquilla e la timidezza superba del figliolo dei coltivatori di Pietole — ma infine Virgilio; o qualcuno di molto simile a lui». Il ritratto non c’è ancora, chè non gli son chiare tutte le ragioni da cui esso debba acquistare figura e accento; ma ci ha lavorato ad arricchirlo e schiarirlo. Ed ecco quelle ragioni, con un movimento nel principio che è rimasto come apertura dell’ultimo capitolo del Saggio, e con una logica dipendenza delle parti che anch’essa è rimasta, intatta, nell’ultimo capitolo. «Ma alla fine dopo aver guardato tanti punti (dopo aver cambiato aver mutato tante disposizioni d’affetto e di giudizio) accade di fissar gli occhi dirittamente su lui, cercare d’abbracciarlo tutto con uno sguardo, di acquietarsi finalmente in una disposizione dell’animo definitiva ed esauriente. Ed ecco la fantasia mi rappresenta la sua viva persona: vedo quel corpo quel viso: sento quella voce. O abbia fatto e detto quel che volete: questi è un poeta; è l’uomo che ha l’anima vergine e lo spirito tramutabile nell’opera della creazione. È il figlio di Virgilio; figlio più scoperto, inerme, smarrito. Io non so giudicarlo; ma sento, com’è, che lo amo». Quella sua «viva persona» quel «corpo» quel «viso» quella «voce», e quel che c’è in lui di virgiliano, ma «più scoperto, inerme, smarrito», son gettati a dar vita a neppur venti righe d’un superbo ritratto. Voi lo ricordate...: «Se vi cammina davanti, tarchiato nella sua statura mezzana, con quella impostatura così spiccata del petto, che si dondola un poco ecc. ecc.». E di quelle venti righe c’è rimasto assai più che un