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232 | SCRITTI DI RENATO SERRA |
Piccole cose. Grazie del dire più ancora che del cantare. E Paul Fort, se ritorno a paragonarlo coi suoi anziani, con la musica indimenticabile di Lélian, con l’intensità assoluta del carlopolitano, par quasi un dicitore, un diseur, prima che un poeta. Il suo movimento è discorsivo, fiorito di gentilezze e di giochi; ma il cammino che egli segue, si vede; e la sua agevolezza non rifugge dall’aiuto di un po’ di schema. E anche il ritmo l’aiuta, alla maniera tradizionale. La vecchia forma della quartina — non badiamo alla apparente irregolarità delle rime, intrecciate, baciate, mescolate — gli si presta come una misura fissa, in cui quel dire un po’ fluido si riposa e si disegna; le ripetizioni e le esteriorità dello schema, invece di essere una debolezza, riescono una sorgente di echi e di sorrisi, gli consentono di trovare delle felicità d’occasione, che non avrebbe forse incontrato altrimenti. E poi, tutti i momenti di una sensibilità un po’ prolissa, si trovano collocati, strofa per strofa, con uno stacco che rende sensibile la variazione dei toni, il salire e lo scendere del respiro. Una, due quartine mediocri, colla luna e i colori, e poi una ripresa deliziosa; della passeggiata e della poesia insieme.
Sautons très doucement ce ruisseau, car tout dort. |
Tutto si sente. Il bisogno istintivo di far piano, muovendo i passi in quel gran silenzio, realizza d’un colpo l’ora della mattina; e il chiaro e il vuoto del giorno nella strada. E non c’è niente