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RINGRAZIAMENTO A UNA BALLATA DI P. FORT 229

zione comune un tocco più fino, e nella finezza resta il comune, come un po’ di cipria in quella pioggia citerèa. Ma la descrizione non è finita, lo scintillio dei colori sorge come un motivo staccato per la contemplazione,

(Le bleu. le rose, l’or, le rouge d’étincelle,
et l’argent et le gris, qu’en ces vers ils reviennent:
ils sont venus si doux jouer en mes prunelles,
y dormir, y rêver d’une vie éternelle!):

la voce ondulata accarezza i colori e li fa brillare a uno a uno — sentite gli e non più muti nell’enumerazione — senza riuscire a dargli un valore distinto; resta un’espressione a mezz’aria, che non è nè il colore realizzato nei suoi accordi precisi, nè la delizia passeggera; qualche cosa di molle e ricercato, come sarebber le «rose e viole», della nostra poesia accademica, prese sul serio; così questi riflessi vogliono esser qualche cosa di più, acquistare una vita più intima nel raffinamento psicologico, che si accorge quanto sian dolci, e come vengano a riposare nelle pupille e ivi dormire e sognare uno splendore eterno: maniera pura e semplice, prodotto di una certa «arte poetica» moderna, di cui non sarebbe difficile ricostituire il canone e i precetti.

Ma che cosa importa tutto questo alla fine? È un uomo che scrive; non un dio che canta; l’ho già detto e non mi dispiace di ripeterlo. E nell’uomo bisogna far bene la parte necessaria alle debolezze, alle imperfezioni, al mestiere. Dopo, rimane il dono e la grazia. Rimane la canzone. Non bisogna analizzarla; ma ricantarsela, col suo sospiro che sale e che scende.

Comincia così bene, così leggero. Anche la tenuità mi piace, l’invocazione alla vecchia aurora