Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
RINGRAZIAMENTO A UNA BALLATA DI P. FORT | 227 |
tutti i suoi, non dico clichés, ma insomma i suoi modi più consueti. C’è, passeggiando per le strade, l’incontro col passato; una fontana fa comparire Racine, che vi rimira la sua pura fronte, senza un gran bisogno; e molta della storia, che popola i versi di Fort, è così fatta, è richiamata da una tenerezza del poeta che sente degli obblighi un po’ confusi e superficiali verso il passato della sua cara Francia, tanto pittoresco e gentile — e che fiorisce poi qualche volta in variazioni e fantasie bellissime, come l’«archerot de la reine» e il meraviglioso «Henri III....».
C’è ancora, che ci riporta a molti altri, un tentativo di elevarsi attraverso la bizzarria fantastica in una regione di lirismo superiore: le sensazioni, imposte turchine, tetti, nuvole, son fatte scala per arrivare a Dio; e l’anima salendo, il corpo pare abbandonato laggiù in basso, disperso nella gioia visiva. Poi si trova una chiesa creata nella sua solidità dalla magia di un rintocco; con quel solito allargamento del processo, che fa crescere il campanile a mano a mano, un po’ forzatamente, verso il cielo, fino a mostrare come un dito il Creatore!
C’è la solita fioritura un po’ oziosa, sui tetti pieni di camini e di banderuole, di angeli colla trombetta in bocca; e i camini sembrano guerrieri. C’è il motteggio, quel pizzico di realtà gauloise in mezzo al lirismo contemplativo, grazioso e sensibile qui, nello sternuto, poniamo, che fa sentire al poeta di non essere un’anima solo, quasi senza ombra — come le anime di Dante — ; grazie a Dio, e a un piccolo vento d’inverno che dev’essere passato di lì!; ma altre volte è spesso un po’ stiracchiato o caricato, tale da diminuire in qualche modo anche il valore di certi momenti li-