Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
226 | SCRITTI DI RENATO SERRA |
famigliare e pur vago, un desiderio sottile che gli fa sempre compagnia e gli fiorisce la strada di episodi, che egli accetta e raccoglie senza distinguere troppo quel che è veramente trovato da ciò che è soltanto cercato. Pare che abbia rinunziato a scegliere e a semplificare. Si contenta di raccontare, con una diffusione che mescola il delizioso al comune, la poesia che avrebbe voluto fare; e che qualche volta gli nasce, in mezzo al racconto, con una freschezza indicibile.
In ogni modo, la parte che si potrebbe dire schematica, introduttiva, il pretesto per arrivare alla poesia pura, è tanto semplice e tanto scoperta in lui, che non dà noia. La si vede e si mette da canto, come un particolare della persona, una di quelle abitudini, che sfuggono al giudizio, perchè fan parte della fisonomia.
È Paul Fort; è ben naturale che vada a spasso e che guardi! D’altronde, questa ballata par composta espressamente per metterci sott’occhio tutti i tratti più caratteristici e più famigliari di quella fisonomia.
Qui sono le sue simpatie; la mattina e la primavera. (Fine d’aprile questa, precisamente, mi sembra cantano le cinciallegre, le rondini son tornate da un pezzo; e si sente la lunghezza di un’alba quasi estiva. Ma l’aria fresca pizzica, e non è impregnata di odori; non è ancor maggio). È curioso che quasi tutte le avventure della poesia di Fort sono in primavera, fra marzo e giugno, direi; e antimeridiane. Egli ha anche delle sere bellissime, e qualche chiaro di luna ammirabile; su delle graminacee, sul mare elettrico, e via via. Ma la sua vera proprietà è l’aurora, la musica della mattina, la calma del mezzogiorno.
Qui sono anche, riassunti o echeggiati, quasi