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RINGRAZIAMENTO A UNA BALLATA DI P. FORT 219


Le ballate si presteranno bene a questo fine, mi pare; ricche di ombre e di luci e di paesi, di fragranze amorose e di sensazioni limpide e gaie, non così profonde da gonfiarmi il cuore di desiderio e di violenza, ma abbastanza vivaci da sfiorarmi col loro riflesso fuggitivo e da rendere agli occhi che bruciano e allo spirito affaticato quel ristoro di freschezza, che non ho saputo cavare dalle cose vere. Medicina che è nelle immagini dell’inchiostro, medicina un po’ vile....

Così comincio a sfogliare il volume, con l’occhio ai titoli e ai capoversi, qua e là. Non son gli inni nè i poemi antichi, che mi fermeranno: ma hanno l’aria di un compito che il poeta abbia voluto assolvere, portando la sua novità e il suo lirismo anche in quegli argomenti obbligati e vecchi e solenni; in realtà, non ci ha portato forse di nuovo altro che qualche raffinatezza di colore o qualche bonomia di linguaggio. Le canzoni e i poemi marini? No, è una musicalità semplice, troppo semplice, a cui bisogna essere più disposti per comprenderla nell’anima vaga, per distinguere quel che è puro da quel che è povero.

E io non cerco musica; ma cose, che mi incantino i sensi. Lascio da parte via via anche le elegie, e il romanzo di Luigi XI che è troppo pittoresco e letterario e composito, i romanzi sentimentali, di cui l’unità e il motivo umano mi sfuggirebbe.

Ondeggio fra le Odi e «odelettes», che m’attirano con tanti episodi contemplativi e fantastici e nomi belli di luoghi, Senlis, Nemours, Jonesse; Gélizy: «Repos de l’âme au bois de l’Hautil», «Naissance du Printemps à la Ferté-Milon». E mi fermo finalmente sulle Fantasie «à la Gauloise»: tornano gli stessi nomi e altri non meno