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coscienza letteraria di renato serra | xxvii |
ripreso nuovamente e condotto rapidamente a termine. E il ritratto di Panzini? Prima, tutto rilevato, con la forza delle parole sue stesse, come fosse un autoritratto; e poi alla fine con quel lungo gherone di noterelle in margine, un discorso scaltrissimo d’uno che ha visto chiaro e l’uomo e l'artista, e gioca come gli piace, con umanissima grazia e intelligenza sveglia. E nomineremo ancora il saggio su Severino, tutto sfumato; le pagine forse più aerate che Serra abbia scritte; un misto, con mille gradazioni, di analisi e notazioni psicologiche, mai finito e sempre ripreso, con un’arte accortamente combinata, una scrittura leggera, un’ombra di malinconia per questo ineffabile nulla di poeta e d’uomo rivivente da una imitazione devota.
Il ritratto del Pascoli l’abbiamo apposta lasciato ultimo; per innestarvi altro discorso, per entrare nel segreto del lavoro del Serra. E ci aiuterà la lettura di certi appunti inediti.1 Quello del Pascoli fu un tema che occupò a lungo la mente del Serra, o perchè si provava la prima volta a un argomento che tanto lo toccava, o perchè imprendibile era la figura del Pascoli. Voi ricordate come finisce quel saggio. Finisce con i versi
- ↑ Appunti inediti del Saggio sul Pascoli. È un bel fascio di cartelle grandi e piccole, un centoventi in tutto, quasi tutte a penna, ma anche a matita, e qualcuna a matita colorata, di vario tempo e scrittura. Appunti inquieti, annotazioni, e anche pagine quasi finite. Nulla che non sia passato nel Saggio, ma che può servir tutto a illuminare il Saggio, e il minutissimo lavoro con cui Serra preparava quella sua prosa d’apparenza quieta, ma intimamente mossa e vibrante, e lentamente lavorava e approfondiva i suoi giudizi.