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210 SCRITTI DI RENATO SERRA

di scorse rapide sulla scrivania del libraio, di principi di strofa sorpresi difficilmente nella piega del foglio non ancor tagliato, di citazioni e di frasi raccattate attraverso gli articoli critici e le recensioni con una firma ignota; con quell’accomodamento sommario che si fa tra i giudizi entusiastici di una critica, che si sa quanto valga, e l’impressione dei pezzi citati o interrotti, che bastano per abitudine a ricostruire, press’a poco, la qualità della poesia.

Mi accosto dunque, con calma, al volume che la posta mi portò ieri sera e che mi invita moderatamente; non è certo il turbamento quasi misto di rancura e di durezza, con cui mi sentii tirato verso Rimbaud; o il sorriso di delizia con cui mi piegai verso le opere di Verlaine, indugiando prima di leggere. C’è nella mia tranquillità un poco di rassegnazione, come il preludio di un successo di stima, disposto a subire parecchie cosette antipatiche. Meritano di esser subite; ma se non ci fossero, sarebbe pur meglio.

Lasciamo stare che egli sia un poeta ancora un po’ raro e lontano dal comune; non dico una proprietà degli snobs, ma dei competenti, dei conoscitori, degli scopritori di valori, della gente. che vuole avere delle ammirazioni per conto proprio, più intelligenti e più fine, e onora la genialità, la purezza, il lirismo, tutte le moralità poltrone e le intenzioni sfiancate — invece della bellezza, che è di tutti, colla sua aria bête. Non c’è molta di questa roba da onorare in Paul Fort; che del resto non è più una novità nè una scoperta, e non si è mai prestato alle rivoluzioni morali, nella sua maestria sottile e precisa di artista vero. Pure anche lui ama un poco l’eccezione; si è lasciato eleggere principe dei poeti